Quanto al vampiro, eravamo pronti ad affrontarlo: grazie alla geniale idea di Dimitri (“meglio cacciare vampiri nella notte, così sono non si nascondono ma sono attivi”), avevamo la quasi certezza di trovarlo. E non lo temevamo.
Ci addentrammo nell'ampio cunicolo che quasi certamente conduceva al castello, con i paletti di frassino pronti nelle tasche più a portata di mano, ma con i fucili in mano, perché va bene la leggenda sullo spaccare il cuore, ma la maggior parte dei pericoli si sistemano meglio con le armi da fuoco, come mi insegnava la mia lettura dei Manoscritti Pnakotici, e un po' di esperienza diretta.
Il nostro primo incontro, però, fu di morti che non avevano avuto la possibilità di una non-morte: procedendo lungo il cunicolo, una parete franata rivelava un'ampia stanza, dove erano distesi una ventina di cadaveri, che apparentemente erano lì da almeno una decina d'anni. Non recavano segni di ferite: la loro morte era stata decisamente più orribile, erano stati murati nella stanza, come rivelava la sagoma di una porta riempita di mattoni.
Gli sventurati avevano costituito un plotone militare zarista, come era evidente dalle divise.
Io, Sakasà e Gustav ci guardammo negli occhi, e subito decidemmo di svolgere il triste e doveroso compito dal quale non ci si può esimere allorché si incontrano i corpi di sventurati insepolti: perquisirli e, se possibile, saccheggiarli.
La nostra analisi rivelò che:
- le truppe zariste disponevano di fondi oramai limitati, perché non trovammo un soldo;
- in questi anni l'industria bellica aveva compiuto grandi progressi, perché le armi in dotazione del gruppo erano dei veri catenacci;
- gli sventurati dovevano essere coinvolti in qualche genere di missione, perché l'ufficiale stringeva ancora un cassetta;
- nella cassetta era custodito un diario, che Dimitri riconobbe, nonostante fosse assai sgualcito e con molte pagine illeggibili, nientemeno che quello di Rasputin.
Preso il testo con noi, proseguimmo, sino ad arrivare ad un muro che chiudeva il tragitto. Ma non tornammo indietro, un'idea, forse un'ispirazione di Dio, ci folgorò: nessuno scava nella roccia un cubicolo di decine di metri per non arrivare da nessuna parte, quello poteva essere un passaggio segreto!
Non ci fu difficile trovarlo, e in un istante ci trovammo in una sorta di studio ottico, nel quale non si erano evidentemente mai preparati occhiali da vista: c'era qualcosa di strano, e non faticammo ad indovinare che qui fossero stati preparati quelli donati a Cornwellis dal barone. Intascammo una lente, e continuammo l'ispezione. Oramai ci trovavamo nei sotterranei del castello.
Improvvisamente, sentimmo due individui avvicinarsi: erano gli scagnozzi del barone, e chiacchieravano tranquillamente in slavo. Girarono prima di noi. Sakasà intese che parlavano di rompere una pietra. Svoltarono prima di arrivare al cunicolo dove eravamo nascosti, e decidemmo di pedinarli.
I nostri peggiori sospetti erano fondati: i due erano incaricati di rompere la pietra sulla quale era riportato il sigillo che impediva a un antico, da seicento anni intrappolato nel pozzo, di uscire per devastare quell'angolo di Transilvania! Appena risuonò la prima picconata, decidemmo di agire nel modo più diretto: uccidendo i due. Io, Gustav e Dimitri ci gettammo all'attacco all'arma bianca, e prima che costoro potessero reagire erano in terra, morti o agonizzanti. Nel pozzo, ribolliva un Orrore, ma non poteva uscire: il Sigillo degli antichi era una soglia insuperabile per lui.
Ma non era finita: risuonò uno sparo alle nostre spalla, Sakasà, che il Destino degli eroi volle forse punire perché si era vilmente tenuto indietro, cadde in terra ferito gravemente. Ci voltammo: era Lazlo, il primo degli scagnozzi del Barone Haupman! Ma fu il suo ultimo colpo: con uno scatto fulmineo, Gustav lo colpì alla testa.
Ma commettemmo l'errore di non verificare di averlo ucciso: ci avrebbe sparato ancora, se non fosse provvidenzialmente intervenuto il nostro amico biologo, che con una scarica di mitragliatrice pose fine alle sofferenze di Lazlo. In effetti, quella di biologo era una copertura: il russo era venuto per cercare il diario di Rasputin, di cui si erano perse le tracce proprio in quella zona. Grati per averci salvato, gli consegnammo il prezioso documento, ma non prima di averne copiato le pagine leggibili.
Il nostro amico ci rivelò anche che il Barone Haupman era fuggito a cavallo di qualcosa di invisibile (forse il vampiro che aveva attaccato il figlio della zingara?): era tardi per cercarlo ancora, evidentemente aveva deciso di sacrificare i suoi servi per liberare l'Antico.
Decidemmo, comunque, di perquisire il Castello, e in effetti alcune stanze si rivelarono assai interessanti. Trovammo:
- una cripta di famiglia, le cui tombe erano tutte vuote, salvo una che conteneva un cadavere recentissimo;
- una sala di tortura;
- un laboratorio chimico, dal quale asportammo un paio di fiale di una strana droga gialla;
- una donna torturata a morte nella camera da letto del Barone;
- i diari dei vari Baroni Haupman, dal trecento ad oggi. Tutti redatti nell'identica calligrafia (sebbene i ritratti degli avi effigiassero individui diversi).
Ma le maggiori sorprese ci attendevano nella torre, che era adibita ad osservatorio astronomico, con uno straordinario telescopio. Un diario conteneva annotazioni: da secoli (secoli!) i Baroni seguivano i movimenti della Stella …, che ben mi ricordo essere uno dei luoghi di incarnazione di Chtulhu. Cosa si aspettava da essa?
E forse poteva addirittura recarvisi?
Da alcuni appunti nascosti nel luogo, risultava che la droga gialla (di cui trovammo altre fiale sigillate) era un composto ipnotico necessario a viaggi magici da compiere tramite il teletrasporto. E di certo il Barone era un grande mago: tra i suoi effetti, c'era la pergamena per evocare Nyogtha, l'Antico che ribolliva nel pozzo dei sotterranei, e anche uno dei più preziosi libri di Occulto, ossia il De Vermiis Mysterii.
Avevamo preso il castello, ma la nostra caccia era appena iniziata.
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