sabato 30 aprile 2011

Una vittoria di Pirro

Sono di nuovo io, Gustav, a scrivere su queste pagine. Pourquoi di nuovo io? Mais perché nessun altro potrebbe raccontare in mia vece i più recenti accadimenti. Seulement poche settimane fa, in occasione della scomparsa di Sakasà, mi lagnavo di quanto è ingiusto le destin, che spesso porta via anzitempo le personnes a noi care(sai che caro, ndr). Non potevo nemmeno immaginare la tragedia che si sarebbe consumata di lì a breve.

Quella notte, quella maledetta notte, après la chiacchierata con il medico, ci dirigemmo verso l'ufficio du chef degli scavi. Tutti tranne Gutierrez, che si sentiva poco bien. Quasi fummo scoperti dalle guardie di pattuglia, ma forse era destino che riuscissimo a entrare nell'ufficio. All'interno, rinvenimmo alcune carte geologiche e una lettre di Jonathan Harris, indirizzata a Edward Chandler (il maestro Edward di cui tanto avevamo sentito parler), in cui si faceva riferimento ad un misterioso "settore A-48". Da altri documents, scoprimmo che objectif degli scavi era l'estrazione del Blue John, un minéral rarissimo di fondamentale importanza pour la realizzazione dei piani della Confraternita della Bestia.

Abbandonammo il boureau, alla volta dell'accampamento degli indios, decisi a vederci il più clair possibile anche sull'omicidio dei due minatori. Mentre camminavamo nella foresta, improvvisamente fummo circondati dagli indios, che ci scortarono al loro campement. Totem di divinità molto simili a quelle chtulhiane, torreggiavano oscuri e minacciosi sopra di nous, lugubre presagio dell'imminente disfatta. Lo sciamano de les indios ci diede il suo punto di vista sulle ultime vicende e ci informò della guerre che da lungo tempo il loro dio Ig, padre dei serpenti, conduceva contre les funghi di Yugoth. Dopodiché fummo liberi di proseguire.

Ensuite incappammo in strane impronte sul terreno, che seguimmo fino ai pressi di una grotte. Fu lì che accadde tutto, in pochi attimi. Se solo avessimo saputo tenere a freno la notre sete di vérité...!
Io e Dimitri facevamo da apripista, mentre Jacopo e McFarland ci coprivano le spalle, subito derrière nous. Il russo ed io superammo un grosso masso e solo alors notammo un gruppo di alieni che ronzavano attorno ad alcuni macchinari. Proprio così, "ronzavano": il loro aspetto ricordava quel de calabroni troppo cresciuti! A quella vista, il mio instinct di auto-conservation ebbe la meglio e così me la diedi prontamente a gambe urlando, lasciando i miei compagni al loro destino.
E fu proprio quell'atto di codardia (ma quanti di voi, messieurs, quanti non sarebbero fuggiti a quella vista?!) che mi salvai la pelle. Perché la réaction di Dimitri non fu meno impulsif della mia: usare la dinamite contro quei monstres, che follia! L'effetto fu a dir poco dirompente: la detonazione fece crollare l'ingresso de la grotte, seppellendo tanto i mostri, quanto i mes amis!
Quando mi ripresi dal terrore e tornai sui miei passi, non potei far altro che constatare amaramente il tragico epilogo delle nostre avventure. La missione ultima era infatti compiuta: privata degli ultimi quantitativi di Blue John, la Confraternita de la Bete non sarebbe riuscita nei suoi malvagi intenti. Dunque avevamo vinto e i miei compagni, immolatisi per il bene dell'humanité, erano ormai ascesi al rango degli eroi.

Voi siete tra i primi ad essere informés di quanto accaduto. Mais presto pubblicherò un'articolo sul Boston Globe. Ho già in mente il titolo:
BIDELLO RUSSO SALVA IL PIANETA.
Eroico sacrificio di tre accademici impedisce la conquista aliena della Terra.

mercoledì 13 aprile 2011

Le montagne della Luna


Due zoppi, un ferito grave, un morto, pazzia galoppante, il furto di tutti i contanti: decisamente, la trasferta in Europa prima, e soprattutto in Egitto aveva lasciato i segni sul nostro gruppo operativo. Gli orrori che avevamo visto, però, avevano almeno avuto l'effetto di temprare i nostri spiriti, al punto che riuscimmo tutti a superare senza impazzire l'aggressione di Von Castellan, furibondo per averci dovuto pagare i biglietti d'aereo e le spese sanitarie per le ferite eroicamente riportate al suo servizio.

E il relativo taglio di stipendio.

Per rinfrancarci, oltre ad ascoltare le cassette di Paul Lemond, abbiamo così deciso di concederci una piacevole vacanze, durante la quale ci siamo sfidati a chi riusciva a rimorchiare più donzelle e le più carine. Gutierrez si è dimostrato una spanna al di sopra di tutti!

[PROVATE IL CALIFFO]

Così rinfrancati, abbiamo deciso di muoverci verso il Perù, presso il piccolo villaggio di Huancucho, a 80 chilometri da Lima, dove da qualche tempo una nota multinazionale sta effettuando scavi e indagini minerarie. E dove, sempre da qualche tempo (leggermente più recente) si verificano una serie di piccole scosse telluriche. Non appena lessi questa connessione, mi vennero in mente un paio di mostri che, nel loro agitarsi, provocano terremoti. Unito alle profezie di cui eravamo a conoscenza, la prospettiva era più che sufficiente a preoccuparci.

Arrivati a destinazione, abbiamo trovato una situazione che potremmo definire intricata: se ci aspettavamo una scampagnata su pei monti – come facevo da giovane sulle Alpi dalla mia bella Italia – eravamo decisamente fuori strada.

Per fortuna che non ce l'aspettavamo.

All'ambasciata ci informarono della situazione:

1) c'era la miniera, controllata dalla multinazionale;

2) c'erano i militari, che avevano un campo lì vicino;

3) c'erano i ribelli che compivano incursioni sul territorio della miniera;

4) c'erano gli indios, che erano in fermento e facevano paura un po' a tutti.

Pensammo che il modo più sicuro di raggiungere la miniera fosse di accompagnarci ad una compagnia militare, che ci potesse proteggere in caso di attacco (o meglio coprirci la fuga: era la loro guerra e non volevamo entrarci).

Inoltre, così avremmo risparmiato l'affitto di un mezzo motorizzato o dei lama.

Gutierrez, come medico di origine andina, ci mise in guardia contro il malessere da rarefazione di ossigeno che avremmo potuto incontrare salendo. A mezz'ora di viaggio da Lima, cominciò a boccheggiare, mentre noi tutti chiacchieravamo con i simpatici militari, arrangiandoci con una comunicazione gestuale e poche parole.

Purtroppo o per fortuna, i militari non ci portarono sino a destinazione, ma ci scaricarono nell'ultimo avamposto (quasi) civile, da dove avremmo dovuto continuare sino alla miniera, dopo esserci riforniti all'unico emporio-bar del luogo.

CARRAMBA CHE SORPRESA!

Il proprietario, Vincent, non solo era francese, ma era anche amico di famiglia del nostro buon Gustave Peugeot. L'abbraccio fu commovente, e dopo un po' anche Gustave mostrò di ricordarsi di Vincent, benché fosse venuto via dalla Francia quando lui era piccino per non ben precisate differenze di vedute rispetto alla legge.

Restammo un po' nel retrobottega, bevendo un ottimo liquore locale che rese tutti felici e Dimitri ubriaco, finché non udimmo degli spari nella sala d'ingresso. Ci precipitammo quasi tutti di là: una vetrata rotta, un miliare agonizzante a terra, due chini al suo capezzale, erano quelli che ci avevano accompagnato, il signore che era stato seduto in veranda sparito. Gutierrez si lanciò a prestare i primi soccorsi al miliare, che fu presto portato via. Anche Dimitri ci raggiunse barcollando.

Vincent sembrava molto più turbato del negoziante medio che deve rifare la vetrata (e già questo è un buon livello di turbamento), ma non riuscimmo a capire altro che l'identità del tizio fuggito: era il capo dei ribelli.

Decidemmo comunque di lasciarsi alle spalle la cittadina per proseguire verso la miniera: non ci si poteva arrivare che con la guida del suocero di Vincent, con i lama da lui affittati (50 $ in totale, poi si dice che il dollaro è una moneta forte! Per fortuna Dimitri era ancora abbastanza sbronzo da offrirsi di pagare per tutti!

Purtroppo, non lo fu abbastanza per pagare i 100 $ chiesti dalla nostra guida per fornirci una mappa sulla collocazione di un antico idolo d'oro Inca.

Arrivammo alla miniera in tempo per un rapido giro di ricognizione con l'ingegnere responsabile: la miniera era, in realtà, un vasto campo di ricerca, su punti distanti anche chilometri, ideato per trovare metalli preziosi, spesso con avanzatissime tecnologie. Non era facile vigilare su tutto quel perimetro, come ci confermò il responsabile della sicurezza, con gli indios minacciosi, che avevano anche ucciso un paio di minatori. Comprendemmo, in linea generale, che i locali temevano che gli scavi infrangessero qualche tabù. L'ingegnere, uomo di scienza, non dava credito a tali superstizioni, ma noi ne avevamo viste troppe per non avvertire un brivido lungo la schiena.

O almeno così ci fu detto dall'ingegnere. A sera, dopo esserci rinfrescati nei nostri alloggi e aver gustato una discreta cena, ci recammo a far due chiacchiere con il medico del campo (con una passione per l'antropologia e l'archeologia), il quale era in vena di confidenze. Ci raccontò, per esempio, che i due minatori non erano stati uccisi dagli indios, né da umani, ma da morsi di serpenti velenosi.

Tanti morsi.

Molti più morsi di quanti ne avesse mai visti.

Quando uscimmo dalla casupola del medico, la notte era oramai calata. Le luci spente. Era oramai venuto il tempo di dedicarci a quello che era stato il nostro obiettivo dal momento stesso in cui l'avevamo visto: la baracca del capo ingegniere.

Colma di documenti.

Di certo compromettenti.

giovedì 7 aprile 2011

Segreti d'Egitto

C'est dure la vie dell'avventuriero. I pericoli attendono dietro ogni angolo e a volte la sorte costringe a separarsi dagli amici prima del tempo.
Sakasà, sei stato un degno compagno di avventure (ma dove???ndr), non ti dimenticheremo! Però in effetti la zingara... quell'ombra che ti seguiva... Forse non tutti i mali vengon per nuocere, come si dice.

La seconda journée di scavi è stata più fruttuosa della precedente e dopo poche ore sono emerse le premiere tracce della tomba di Nephren-Ka, che a lungo il Dott. Galloway aveva cercato altrove, invano. L'atteggiamento scettico che l'illustre archeologo aveva mostrato inizialmente nei nostri confronti, si è tramutato in gratitudine e concitazione quando, il giorno seguente, dalle sabbie del deserto, è enfin emerso l'ingresso alla tomba del sacerdote egizio.

Ad ogni modo, non c'è stato nemmeno il tempo di pavoneggiarsi un po', perché la nostra attention è stata subito catturata da un particolare inaspettato: il sigillo che proteggeva l'ingresso era spezzato! Donc non eravamo i primi a scoprire quella tomba, qualcuno ci aveva preceduti! Nessuno voleva rimanere indietro e così siamo entrati tutti, insieme a Galloway, i suoi due aiutanti Mcfarland e Lorens, e il sospetto Ab-Katif, interprete e chef degli scavi.

All'interno, il pavimento era percorso dalle orme di coloro che, prima de nous, avevano esplorato quel luogo misterioso. Il lungo corridoio conduceva ad una porta, ai cui lati si trovavano due sarcofagi sigillati. A questo punto è sorto un breve dibattito: violare o non violare i sarcofagi? Lo storico italien sosteneva che non aprirli avrebbe costituito una violation del codice deontologico del buon profanateur, ma alla fine si impose il parere di Galloway, che consigliava di procedere oltre.
Così, abbiamo varcato la soglia del luogo dell'eterno riposo di Nophru-Ka, dove giaceva il sarcofago del sacerdote e poco distante il cadavere di un homme che doveva esser stato giustiziato. Mentre ci guardavamo intorno, con la coda dell'occhio ho visto Katif che spariva oltre la porte, con in mano qualcosa che non sono riuscito a distinguere chiaramente. Nel mentre, dai sarcofagi che avevamo poc'anzi ignorato, erano fuoriuscite due mummie con testa di crocodile, che non sembravano essersi risvegliate pour faire de la conversation.

Mi sono dunque lanciato all'inseguimento del traditore ma, mentre cercavo di surpasser le mummie, sono stato ferito gravemente al braccio destro. Ciononostante sono uscito dalla tomba, giusto in tempo per vedere Katif che si allontanava sulla gobba di un cammello. Ho estratto fulmineo la pistola con la mano sinistra, sparando due colpi, ma invano: era ormai lontano.
Intanto i miei compagni facevano del loro meglio (si fa per dire) contro le mummie e ensuite mi hanno raccontato che Mcfarland, spinto dalla disperazione, era saltato direttamente tra le braccia delle mummie, nel vano tentativo di oltrepassarle. Quando però sono tornato nella tombe con un manipolo di operai per soccorrere i miei compagni, le due mummie erano ormai state sconfitte.

Usciti dalla tombe, abbiamo frugato nella tenda di Katif, dove abbiamo ritrovato gli averi, che ci erano stati sottratti. Nessuna traccia però dei nostri contanti. In compenso nella tenda c'era una lettre del barone Hauptman, il quale ordinava a Katif di ostacolarci e di far sparire alcune pergamene nascoste nella tomba: certainement era con quelle che Katif era fuggito dalla tombe.

In effetti questa campagna d'Egitto non è stata propriamente un successo: abbiamo perso beaucoup de temp a girare a vuoto tra le sabbie del deserto, siamo stati vittima delle angherie dei predoni e abbiamo perso Sakasà. Se non altro per un amico che va, uno che viene: Mcfarland, l'intrepido aiutante di Galloway, ha deciso di unirsi alla nostra allegra compagnia ed è volato con noi nel civilizzato Nuovo Mondo. A Boston, abbiamo potuto rinfrancare le corps et l'esprit, nonostante le ramanzine di Von Castellan, infuriato per aver dovuto sborsare il denaro per i biglietti aerei: quello spilorcio!

Nel frattempo ci è pervenuta una nuova cassetta di Paul Lemonde, in cui farfuglia qualcosa su terremoti in Perù che preannuncerebbero l'arrivo della Bestia. Una nuova pista da seguire donc, oltre a quella della bibliothèque di Caelano, che dovremo provare a raggiungere, e al sarcofago di Nophru-ka, che abbiamo fatto arrivare dall'Egitto e che, secondo Jacopo, aspetta seulement di essere aperto. Quale sarà la nostra prossima mossa?

giovedì 24 marzo 2011

La scomparsa di Sakasà

Qualcuno dovrà pagare per tutto questo.

Abbiamo i nostri sospetti, certo, ma ancora nessuna prova: tuttavia, non lasceremo questo deserto prima di aver recuperato i nostri averi – inclusa la sciabola del mio bisavolo – e di aver avuto la giusta soddisfazione da chi ci ha irriso. La morte potrebbe essere una giusta compensazione per quanto abbiamo subito.

Forse.

Ma forse è meglio procedere con ordine.

Dopo aver abbandonato il castello transilvano, siamo ritornati verso la civiltà, ma prima di tornare negli Stati Uniti ci siamo fermati per dieci giorni ad Atene: la gamba di Sakasà era peggiorata, e avrebbe rischiato l'amputazione se non avesse ricevuto pronte cure. Invece, se l'è cavata con una zoppia permanente.

Nel frattempo, io ho studiato il De vermis misteris, una vera miniera di informazioni, e abbiamo mandato un testo cinese trovato nel castello a Von Castellan, che ce l'ha mandato tradotto (parlava degli accorgimenti utili a sperare di uscire vivi dalla Grande Biblioteca di Celano), insieme all'ordine di raggiungere il dott. Galloway , eminente archeologo, che stava cercando invano la tomba di Nephren - Ka, antico Gran Sacerdote egizio e che, come risultava dai libri da noi scoperti, era stato il più antico appartenente alla Confraternita del Capro Nero.

Avremmo potuto tornare negli Stati Uniti, ma il biglietto sarebbe costato 100 $ a testa, mentre Von Castellan ci aveva accluso i biglietti per Il Cairo, così la nostra sete di conoscenza ci portò a proseguire la nostra avventura, non prima di aver spedito all'Università i nostri più preziosi ritrovamenti.

Al Cairo ci aspettavano due assistenti del professore, che avevano l'incarico di portarci da lui, e che si rivelarono presto uomini più colti che simpatici. Il vanto di saper leggere i geroglifici li rendeva di una insopportabile supponenza nei nostri confronti.

Eppure, la conversazione con loro non sarebbe stata la prova peggiore che avremmo affrontato in Egitto.

Per l'intervento di qualche entità angelica, probabilmente, non avevano l'incarico di accompagnarci sino al campo base del professore, ma a metà strada ci affidarono ad alcune guide. Il viaggio, però, fu subito duro: prima fummo ostacolati da una tempesta di sabbia, e poi accerchiati da un branco di predoni, evidentemente prezzolati da qualche oppositore, che ci bendarono, depredarono e gettarono in una profonda fossa, distante un giorno di cammino dal luogo dove eravamo stati catturati.

Per nostra fortuna – se di fortuna si può parlare per chi ha appena perso tutti i suoi risparmi e la spada degli avi – i predoni non avevano controllato la tomba a cielo aperto nella quale ci avevano gettati: un crollo aveva aperto un percorso nelle viscere della terra. Il percorso era stato scavato da mano umana, era fiocamente illuminato da strane torce che si spegnevano non appena venivano staccate dal muro, e proseguiva per molti chilometri, sino a sboccare in una strana grotta, dove tutti vedemmo – o credemmo di vedere – un uomo alto, su un trono, in posa solenne con due assistenti, uomini con la testa di coccodrillo, che si avvicinarono di un passo verso di noi. L'alto uomo nero (che subito riconobbi come la forma umana del dio Nyarlatothep) fece un cenno, e fummo travolti da un flusso di conoscenze arcane e pensieri spaventosi, capaci di minare persino la nostra già non solidissima solidità mentale.

Quando ci riprendemmo, tutto era sparito. Solo una luce, in alto, ci indicava una via di fuga. La cogliemmo, ma per due giorni dovemmo vagare nel deserto, sfiniti, senza cibo né acqua, sotto la guida di Sakasà (il cui itinerario prevedeva percorsi ad anello), prima di trovare gli uomini del professore: eravamo salvi!

Faticammo un po' a convincere il professore (che intanto era stato raggiunto dai due assistenti che ci avevano accolto al Cairo) dell'affidabilità delle nostre informazioni, ma alla fine decide di affidarci quattro braccianti per tentare lo scavo nel luogo da noi indicato.

Il primo giorno fu solo interlocutorio, ma mi servì a raccogliere le informazioni necessarie a trovare dove scavare con sicurezza l'indomani.

Per chi ci fosse arrivato.

Stabilimmo i turni. Ma la mattina dopo, non tutti eravamo vivi: i pezzi di Sakasà coprivano tutta la zona, come se fosse stato lacerato da una bestia sovraumana, che ci aveva risparmiato. Anche l'egiziano che aveva condiviso il turno di guardia con lui non era in condizioni migliori.

Ma l'avrebbe pagata anche il mostro. Anche se in fondo, poverino, lui seguiva solo il suo istinto, e poi Sakasà era già zoppo. Chi davvero doveva pagare era il maledetto ladrone, che magari se la stava spassando con i miei mille dollari e giocherellava la mia sciabola avita.

Lui non aveva scusanti.

Doveva pagare.

Pagare tutto.

Pagare caro.

lunedì 21 marzo 2011

Nephren-Ka

Durante gli ultimi anni del regno del Faraone Zoser, della Terza Dinastia, nel 1773 a.C., un uomo conosciuto come Nephren-Ka giunse a Khemet. Nephren-Ka era un potentissimo mago ed un alto sacerdote di un potentissimo culto di Nyarlathotep, il quale veniva venerato in templi sotterranei, e portava pazzia e morte ai suoi nemici con una parola o uno sguardo. Le storie dicono che egli proveniva da una antica città nel deserto dell'Arabia, il cui nome era Irem, la Città dei Pilastri. Tutti coloro che conoscevano tale città ne avevano terrore. Nephren-Ka impressionò il faraone con i suoi poteri e la sua conoscenza di cose sconosciute ai più. Il faraone lo nominò visir, secondo solo a lui nell'impero. Nephren-Ka riportò in auge il culto di un vecchio, terribile, dio - il Faraone Nero. Presto Nephren-Ka e il Faraone Nero divennero la stessa persona agli occhi delle persone. Nessuno riusciva a distinguere i loro poteri. Il Faraone Zoser morì di una terribile malattia, e il sacerdote si proclamò Faraone. Per molti anni il Faraone Nero combatté con i figli di Zoser per il controllo dell'impero. Così grande era il potere del Faraone Nero che nessun ricordo dei figli di Zoser è giunto a noi. Fu questo il periodo che vide Nephren-Ka padrone dell'Egitto. Per riuscire nel suo intento richiamò dallo spazio mostri (Dhole) e seminò distruzione per tutta la landa. Nella confusione, Nophru-Ka e i suoi cultisti avrebbero dovuto attaccare il faraone e porre le basi per il loro governo. Nyarlathotep sorrise del loro tentativo e promise di mandare in aiuto un messaggero. Il faraone Kasekhermre Neferhotep I tuttavia venne a sapere dell’intrigo, e mandò assassini e spie a cercare il sacerdote nelle più lontane parti del suo impero. Fu finalmente trovato ad ovest del deserto mentre era inginocchiato in preghiera nel più sacro tempio sotterraneo del suo culto, il Pozzo. Attaccato dagli assassini, fu mortalmente ferito; ma mentre moriva, Nophru-Ka pronunciò una terribile maledizione sul faraone e sulla sua discendenza. Una piramide fu costruita per contenere l'anima di Nephren-Ka e per proteggere l'impero dalla sua magia. La prima piramide non era abbastanza forte per intrappolare lo spirito del Faraone Nero e crollò. Una seconda piramide fu costruita, con strane geometrie calcolate dai sacerdoti per poter reggere ai poteri del Faraone Nero. Questa piramide resistette, e il corpo di Nephren-Ka fu sotterrato, accompagnato dalle maledizioni dei sacerdoti. In aggiunta fu costruita anche una terza piramide ad ulteriore protezione, semmai Nephren-Ka dovesse mai tornare a minacciare l'impero. Probabilmente la prima è la Distrutta Piramide di Meidum, mentre la seconda è la Piramide Bent di Dhashur (forse all’interno della quale si trova il labirinto di Kish). Tuttavia nessun esploratore ha trovato sue tracce. Si dice che un giorno egli tornerà. Fu questa la fine della Terza Dinastia e la nascita della Quarta Dinastia. Si narra che la voce di Nephren-Ka potesse viaggiare attraverso l'impero sotto la forma di un vento nero, un vento che uccideva secondo il suo volere. Nephren-Ka costruì il Labirinto di Kish, un luogo di oscurità e disperazione. Qui egli praticava molti dei suoi sacrileghi riti. Si dice che Nephren-Ka avesse al suo servizio una immensa bestia, della quale la sfinge non è altro che una piccola, poco somigliante rappresentazione. Sembra inoltre che egli fosse in possesso del Trapezoedro Brillante. Alla fine un eroe di nome Sneferu sorse, e con l'aiuto della dea Isis e del dio Bast annullò la maligna magia di Nephren-Ka e lo uccise. Sneferu divenne faraone e riportò il favore dei vecchi dei all'impero. Una versione alternativa narra che Nephren-Ka fuggì e si ritirò sulla costa, con l’intenzione di recarsi su una non meglio precisata “isola ad ovest”. Tuttavia lui e i suoi seguaci furono costretti a ritirarsi in un sotterraneo segreto, probabilmente nelle vicinanze della attuale città del Cairo, e a seppellirvisi sotto gli occhi dell’attonito esercito che li inseguiva. Nel sotterraneo Nephren-Ka sacrificò 100 vittime a Nyarlathotep, il quale lo ricompensò con il dono della chiaroveggenza. Nephren-Ka passò il resto della sua vita a disegnare il futuro della terra sulle pareti della sua tomba. I suoi seguaci seppellirono il suo corpo in una piccola valle, in una tomba costruita in fretta. Da lì viaggiarono in seguito verso l’Africa centrale e verso G'Harne, la città perduta degli Antichi. Qui Shudde-M'ell, leader degli Ctoniani, divorò la maggior parte dei bambini e lasciò in vita solo coloro che portavano in se la stirpe di Nophru-Ka. Qui tale Stirpe Reale avrebbe dovuto regnare in alleanza con gli Ctoniani fino all’avverarsi della profezia.