giovedì 24 marzo 2011

La scomparsa di Sakasà

Qualcuno dovrà pagare per tutto questo.

Abbiamo i nostri sospetti, certo, ma ancora nessuna prova: tuttavia, non lasceremo questo deserto prima di aver recuperato i nostri averi – inclusa la sciabola del mio bisavolo – e di aver avuto la giusta soddisfazione da chi ci ha irriso. La morte potrebbe essere una giusta compensazione per quanto abbiamo subito.

Forse.

Ma forse è meglio procedere con ordine.

Dopo aver abbandonato il castello transilvano, siamo ritornati verso la civiltà, ma prima di tornare negli Stati Uniti ci siamo fermati per dieci giorni ad Atene: la gamba di Sakasà era peggiorata, e avrebbe rischiato l'amputazione se non avesse ricevuto pronte cure. Invece, se l'è cavata con una zoppia permanente.

Nel frattempo, io ho studiato il De vermis misteris, una vera miniera di informazioni, e abbiamo mandato un testo cinese trovato nel castello a Von Castellan, che ce l'ha mandato tradotto (parlava degli accorgimenti utili a sperare di uscire vivi dalla Grande Biblioteca di Celano), insieme all'ordine di raggiungere il dott. Galloway , eminente archeologo, che stava cercando invano la tomba di Nephren - Ka, antico Gran Sacerdote egizio e che, come risultava dai libri da noi scoperti, era stato il più antico appartenente alla Confraternita del Capro Nero.

Avremmo potuto tornare negli Stati Uniti, ma il biglietto sarebbe costato 100 $ a testa, mentre Von Castellan ci aveva accluso i biglietti per Il Cairo, così la nostra sete di conoscenza ci portò a proseguire la nostra avventura, non prima di aver spedito all'Università i nostri più preziosi ritrovamenti.

Al Cairo ci aspettavano due assistenti del professore, che avevano l'incarico di portarci da lui, e che si rivelarono presto uomini più colti che simpatici. Il vanto di saper leggere i geroglifici li rendeva di una insopportabile supponenza nei nostri confronti.

Eppure, la conversazione con loro non sarebbe stata la prova peggiore che avremmo affrontato in Egitto.

Per l'intervento di qualche entità angelica, probabilmente, non avevano l'incarico di accompagnarci sino al campo base del professore, ma a metà strada ci affidarono ad alcune guide. Il viaggio, però, fu subito duro: prima fummo ostacolati da una tempesta di sabbia, e poi accerchiati da un branco di predoni, evidentemente prezzolati da qualche oppositore, che ci bendarono, depredarono e gettarono in una profonda fossa, distante un giorno di cammino dal luogo dove eravamo stati catturati.

Per nostra fortuna – se di fortuna si può parlare per chi ha appena perso tutti i suoi risparmi e la spada degli avi – i predoni non avevano controllato la tomba a cielo aperto nella quale ci avevano gettati: un crollo aveva aperto un percorso nelle viscere della terra. Il percorso era stato scavato da mano umana, era fiocamente illuminato da strane torce che si spegnevano non appena venivano staccate dal muro, e proseguiva per molti chilometri, sino a sboccare in una strana grotta, dove tutti vedemmo – o credemmo di vedere – un uomo alto, su un trono, in posa solenne con due assistenti, uomini con la testa di coccodrillo, che si avvicinarono di un passo verso di noi. L'alto uomo nero (che subito riconobbi come la forma umana del dio Nyarlatothep) fece un cenno, e fummo travolti da un flusso di conoscenze arcane e pensieri spaventosi, capaci di minare persino la nostra già non solidissima solidità mentale.

Quando ci riprendemmo, tutto era sparito. Solo una luce, in alto, ci indicava una via di fuga. La cogliemmo, ma per due giorni dovemmo vagare nel deserto, sfiniti, senza cibo né acqua, sotto la guida di Sakasà (il cui itinerario prevedeva percorsi ad anello), prima di trovare gli uomini del professore: eravamo salvi!

Faticammo un po' a convincere il professore (che intanto era stato raggiunto dai due assistenti che ci avevano accolto al Cairo) dell'affidabilità delle nostre informazioni, ma alla fine decide di affidarci quattro braccianti per tentare lo scavo nel luogo da noi indicato.

Il primo giorno fu solo interlocutorio, ma mi servì a raccogliere le informazioni necessarie a trovare dove scavare con sicurezza l'indomani.

Per chi ci fosse arrivato.

Stabilimmo i turni. Ma la mattina dopo, non tutti eravamo vivi: i pezzi di Sakasà coprivano tutta la zona, come se fosse stato lacerato da una bestia sovraumana, che ci aveva risparmiato. Anche l'egiziano che aveva condiviso il turno di guardia con lui non era in condizioni migliori.

Ma l'avrebbe pagata anche il mostro. Anche se in fondo, poverino, lui seguiva solo il suo istinto, e poi Sakasà era già zoppo. Chi davvero doveva pagare era il maledetto ladrone, che magari se la stava spassando con i miei mille dollari e giocherellava la mia sciabola avita.

Lui non aveva scusanti.

Doveva pagare.

Pagare tutto.

Pagare caro.

lunedì 21 marzo 2011

Nephren-Ka

Durante gli ultimi anni del regno del Faraone Zoser, della Terza Dinastia, nel 1773 a.C., un uomo conosciuto come Nephren-Ka giunse a Khemet. Nephren-Ka era un potentissimo mago ed un alto sacerdote di un potentissimo culto di Nyarlathotep, il quale veniva venerato in templi sotterranei, e portava pazzia e morte ai suoi nemici con una parola o uno sguardo. Le storie dicono che egli proveniva da una antica città nel deserto dell'Arabia, il cui nome era Irem, la Città dei Pilastri. Tutti coloro che conoscevano tale città ne avevano terrore. Nephren-Ka impressionò il faraone con i suoi poteri e la sua conoscenza di cose sconosciute ai più. Il faraone lo nominò visir, secondo solo a lui nell'impero. Nephren-Ka riportò in auge il culto di un vecchio, terribile, dio - il Faraone Nero. Presto Nephren-Ka e il Faraone Nero divennero la stessa persona agli occhi delle persone. Nessuno riusciva a distinguere i loro poteri. Il Faraone Zoser morì di una terribile malattia, e il sacerdote si proclamò Faraone. Per molti anni il Faraone Nero combatté con i figli di Zoser per il controllo dell'impero. Così grande era il potere del Faraone Nero che nessun ricordo dei figli di Zoser è giunto a noi. Fu questo il periodo che vide Nephren-Ka padrone dell'Egitto. Per riuscire nel suo intento richiamò dallo spazio mostri (Dhole) e seminò distruzione per tutta la landa. Nella confusione, Nophru-Ka e i suoi cultisti avrebbero dovuto attaccare il faraone e porre le basi per il loro governo. Nyarlathotep sorrise del loro tentativo e promise di mandare in aiuto un messaggero. Il faraone Kasekhermre Neferhotep I tuttavia venne a sapere dell’intrigo, e mandò assassini e spie a cercare il sacerdote nelle più lontane parti del suo impero. Fu finalmente trovato ad ovest del deserto mentre era inginocchiato in preghiera nel più sacro tempio sotterraneo del suo culto, il Pozzo. Attaccato dagli assassini, fu mortalmente ferito; ma mentre moriva, Nophru-Ka pronunciò una terribile maledizione sul faraone e sulla sua discendenza. Una piramide fu costruita per contenere l'anima di Nephren-Ka e per proteggere l'impero dalla sua magia. La prima piramide non era abbastanza forte per intrappolare lo spirito del Faraone Nero e crollò. Una seconda piramide fu costruita, con strane geometrie calcolate dai sacerdoti per poter reggere ai poteri del Faraone Nero. Questa piramide resistette, e il corpo di Nephren-Ka fu sotterrato, accompagnato dalle maledizioni dei sacerdoti. In aggiunta fu costruita anche una terza piramide ad ulteriore protezione, semmai Nephren-Ka dovesse mai tornare a minacciare l'impero. Probabilmente la prima è la Distrutta Piramide di Meidum, mentre la seconda è la Piramide Bent di Dhashur (forse all’interno della quale si trova il labirinto di Kish). Tuttavia nessun esploratore ha trovato sue tracce. Si dice che un giorno egli tornerà. Fu questa la fine della Terza Dinastia e la nascita della Quarta Dinastia. Si narra che la voce di Nephren-Ka potesse viaggiare attraverso l'impero sotto la forma di un vento nero, un vento che uccideva secondo il suo volere. Nephren-Ka costruì il Labirinto di Kish, un luogo di oscurità e disperazione. Qui egli praticava molti dei suoi sacrileghi riti. Si dice che Nephren-Ka avesse al suo servizio una immensa bestia, della quale la sfinge non è altro che una piccola, poco somigliante rappresentazione. Sembra inoltre che egli fosse in possesso del Trapezoedro Brillante. Alla fine un eroe di nome Sneferu sorse, e con l'aiuto della dea Isis e del dio Bast annullò la maligna magia di Nephren-Ka e lo uccise. Sneferu divenne faraone e riportò il favore dei vecchi dei all'impero. Una versione alternativa narra che Nephren-Ka fuggì e si ritirò sulla costa, con l’intenzione di recarsi su una non meglio precisata “isola ad ovest”. Tuttavia lui e i suoi seguaci furono costretti a ritirarsi in un sotterraneo segreto, probabilmente nelle vicinanze della attuale città del Cairo, e a seppellirvisi sotto gli occhi dell’attonito esercito che li inseguiva. Nel sotterraneo Nephren-Ka sacrificò 100 vittime a Nyarlathotep, il quale lo ricompensò con il dono della chiaroveggenza. Nephren-Ka passò il resto della sua vita a disegnare il futuro della terra sulle pareti della sua tomba. I suoi seguaci seppellirono il suo corpo in una piccola valle, in una tomba costruita in fretta. Da lì viaggiarono in seguito verso l’Africa centrale e verso G'Harne, la città perduta degli Antichi. Qui Shudde-M'ell, leader degli Ctoniani, divorò la maggior parte dei bambini e lasciò in vita solo coloro che portavano in se la stirpe di Nophru-Ka. Qui tale Stirpe Reale avrebbe dovuto regnare in alleanza con gli Ctoniani fino all’avverarsi della profezia.

Nyarlathotep


« E su tutto, in questo ripugnante cimitero dell'universo, si ode un sordo e pazzesco rullìo di tamburi, un sottile e monotono lamento di flauti blasfemi che giungono da stanze inconcepibili, senza luce, di là dal Tempo; la detestabile cacofonia al cui ritmo danzano lenti, goffi e assurdi, giganteschi, tenebrosi ultimi dèi. Le cieche, mute, stolide abominazioni la cui anima è Nyarlathotep. »

(H. P. Lovecraft, Nyarlathotep)

Nyarlathotep è molto diverso dagli altri dèi. La maggior parte di essi è, nel migliore dei casi, indifferente nei confronti della vita organica del nostro universo. Nyarlathotep, invece, è attivo e visita frequentemente la Terra (e, presumibilmente, anche gli altri miliardi di pianeti in cui è presente vita intelligente) sotto le spoglie di un uomo alto e magro. Quasi tutti gli dei di questo pantheon hanno dei fedeli seguaci che li servono, mentre Nyarlathotep sembra servire e prendersi cura delle altre divinità. Inoltre, molti dei parlano strani linguaggi alieni, mentre Nyarlathotep può parlare qualsiasi lingua. Infine, la maggior parte di loro sembra essere tanto potente quanto senza scopo, mentre Nyarlathotep agisce secondo un piano ben congegnato e di grande portata, ossia portare alla follia l'intera umanità. Nyarlathotep agisce secondo il volere degli Dei Esterni, ed è il loro messaggero, cuore ed anima; è inoltre un servitore di Azathoth, di cui esaudisce immediatamente qualsivoglia desiderio. A differenza degli altri dei, per Nyarlathotep è più importante e piacevole causare la pazzia che la morte e la distruzione. In questa preferenza egli sembra avvicinarsi molto al Demonio. Secondo il Necronomicon, Nyarlathotep avrà un ruolo importante alla fine dei tempi. È scritto che lui permetterà a Nyogtha di ripulire la Terra in attesa del ritorno dei Grandi Antichi, anche se non spiega come Nyarlathotep riuscirà in questo. Non è menzionato nemmeno quando questo accadrà, anche se presumibilmente sarà dopo la caduta di Xothique, circa 5.000 anni nel futuro. Sembra che ai tempi dell' antico Egitto, un avatar di Nyarlathotep, o un sacerdote con cui egli stipulò un oscuro patto, fosse diventato faraone con il nome di Nephren-Ka, anche conosciuto come Faraone Nero. Un'altra forma del dio ai tempi dell'impero egizio era "La Bestia", una specie di sfinge che seminava distruzione e morte. Tale forma era venerata anche dalla "Fratellanza della Bestia".

giovedì 17 marzo 2011

Tunguska

Alle ore 7:14 locale, 0:14 T.U., del 30 giugno 1908 un evento catastrofico ebbe luogo nelle vicinanze del fiume Podkamennaja Tunguska, abbattendo 60 milioni di alberi su 2150 chilometrii quadrati. Il rumore dell'esplosione fu udito a 1000 chilometri di distanza. A 500 chilometri alcuni testimoni affermarono di avere udito un sordo scoppio e avere visto sollevarsi una nube di fumo all'orizzonte. A 65 chilometri il testimone Semen Semenov raccontò di aver visto in una prima fase il cielo spaccarsi in due, un grande fuoco coprire la foresta e in un secondo tempo notò che il cielo si era richiuso, udì un fragoroso boato e si sentì sollevare e spostare fino a qualche metro di distanza. L'onda d'urto fece quasi deragliare alcuni convogli della Ferrovia Transiberiana a 600 km dal punto di impatto. Si ritiene in base ai dati raccolti che la potenza dell'esplosione sia stata compresa tra 10 e 15 megatoni. Altri effetti si percepirono persino a Londra, dove, in quel frangente, pur essendo mezzanotte il cielo era talmente chiaro e illuminato da poter leggere un giornale senza l'ausilio della luce artificiale. L'ipotesi più accreditata come causa del fenomeno è l'esplosione di un asteroide sassoso di circa 30 metri di diametro che si muoveva ad una velocità di almeno 15 chilometri al secondo (54000 km/h). La deflagrazione del corpo celeste sarebbe avvenuta ad una altezza di 8 chilometri. La resistenza offerta dall'atmosfera può aver frantumato l'asteroide la cui energia cinetica è stata convertita in energia termica. La conseguente vaporizzazione dell'oggetto roccioso ha causato un'immane onda d'urto che ha colpito il suolo. Grazie ad una simulazione, alcuni scienziati della NASA e dell'Università del Wisconsin, Christopher Chyba e Kevin Zahnle con Paul J. Thomas, escludono che l'asteroide fosse di natura ferrosa o carbonacea. Nel primo caso, il corpo celeste avrebbe raggiunto il suolo senza frantumarsi, nel secondo caso, la deflagrazione sarebbe avvenuta troppo in alto nell'atmosfera per devastare una zona così ampia di taiga. Per ragioni analoghe e per considerazioni sulla densità, i tre studiosi ritengono improbabile che l'evento di Tunguska sia stato generato da una cometa. Simulazioni più recenti, come quella effettuata da N.A. Artemieva per conto dell'Istituto per la dinamica della geosfera di Mosca hanno confermato la probabile vaporizzazione dell'asteroide avvenuta 5-10 chilometri sopra Tunguska, mentre nel 2007 Mark Boslough per conto del Sandia National Laboratories ha calcolato che l'esplosione fu di circa 3-5 megatoni. La frequenza media di impatti terrestri con oggetti simili a quello caduto su Tunguska è all'incirca di uno ogni 600 anni.

Chissà se la Von Castellan Society indagherà sul mistero...

mercoledì 16 marzo 2011

Assalto al castello

Il bosco era dannatamente umido, nella notte. Molti tendono a trascurare questo aspetto, quando sono a caccia di un presunto vampiro, ma si possono sgominare mostri oscuri, e soccombere alla broncopolmonite. Ma io avevo la maglia di lana che mi aveva spedito la mia mamma (italiana).

Quanto al vampiro, eravamo pronti ad affrontarlo: grazie alla geniale idea di Dimitri (“meglio cacciare vampiri nella notte, così sono non si nascondono ma sono attivi”), avevamo la quasi certezza di trovarlo. E non lo temevamo.

Ci addentrammo nell'ampio cunicolo che quasi certamente conduceva al castello, con i paletti di frassino pronti nelle tasche più a portata di mano, ma con i fucili in mano, perché va bene la leggenda sullo spaccare il cuore, ma la maggior parte dei pericoli si sistemano meglio con le armi da fuoco, come mi insegnava la mia lettura dei Manoscritti Pnakotici, e un po' di esperienza diretta.

Il nostro primo incontro, però, fu di morti che non avevano avuto la possibilità di una non-morte: procedendo lungo il cunicolo, una parete franata rivelava un'ampia stanza, dove erano distesi una ventina di cadaveri, che apparentemente erano lì da almeno una decina d'anni. Non recavano segni di ferite: la loro morte era stata decisamente più orribile, erano stati murati nella stanza, come rivelava la sagoma di una porta riempita di mattoni.

Gli sventurati avevano costituito un plotone militare zarista, come era evidente dalle divise.

Io, Sakasà e Gustav ci guardammo negli occhi, e subito decidemmo di svolgere il triste e doveroso compito dal quale non ci si può esimere allorché si incontrano i corpi di sventurati insepolti: perquisirli e, se possibile, saccheggiarli.

La nostra analisi rivelò che:

- le truppe zariste disponevano di fondi oramai limitati, perché non trovammo un soldo;

- in questi anni l'industria bellica aveva compiuto grandi progressi, perché le armi in dotazione del gruppo erano dei veri catenacci;

- gli sventurati dovevano essere coinvolti in qualche genere di missione, perché l'ufficiale stringeva ancora un cassetta;

- nella cassetta era custodito un diario, che Dimitri riconobbe, nonostante fosse assai sgualcito e con molte pagine illeggibili, nientemeno che quello di Rasputin.

Preso il testo con noi, proseguimmo, sino ad arrivare ad un muro che chiudeva il tragitto. Ma non tornammo indietro, un'idea, forse un'ispirazione di Dio, ci folgorò: nessuno scava nella roccia un cubicolo di decine di metri per non arrivare da nessuna parte, quello poteva essere un passaggio segreto!

Non ci fu difficile trovarlo, e in un istante ci trovammo in una sorta di studio ottico, nel quale non si erano evidentemente mai preparati occhiali da vista: c'era qualcosa di strano, e non faticammo ad indovinare che qui fossero stati preparati quelli donati a Cornwellis dal barone. Intascammo una lente, e continuammo l'ispezione. Oramai ci trovavamo nei sotterranei del castello.

Improvvisamente, sentimmo due individui avvicinarsi: erano gli scagnozzi del barone, e chiacchieravano tranquillamente in slavo. Girarono prima di noi. Sakasà intese che parlavano di rompere una pietra. Svoltarono prima di arrivare al cunicolo dove eravamo nascosti, e decidemmo di pedinarli.

I nostri peggiori sospetti erano fondati: i due erano incaricati di rompere la pietra sulla quale era riportato il sigillo che impediva a un antico, da seicento anni intrappolato nel pozzo, di uscire per devastare quell'angolo di Transilvania! Appena risuonò la prima picconata, decidemmo di agire nel modo più diretto: uccidendo i due. Io, Gustav e Dimitri ci gettammo all'attacco all'arma bianca, e prima che costoro potessero reagire erano in terra, morti o agonizzanti. Nel pozzo, ribolliva un Orrore, ma non poteva uscire: il Sigillo degli antichi era una soglia insuperabile per lui.

Ma non era finita: risuonò uno sparo alle nostre spalla, Sakasà, che il Destino degli eroi volle forse punire perché si era vilmente tenuto indietro, cadde in terra ferito gravemente. Ci voltammo: era Lazlo, il primo degli scagnozzi del Barone Haupman! Ma fu il suo ultimo colpo: con uno scatto fulmineo, Gustav lo colpì alla testa.

Ma commettemmo l'errore di non verificare di averlo ucciso: ci avrebbe sparato ancora, se non fosse provvidenzialmente intervenuto il nostro amico biologo, che con una scarica di mitragliatrice pose fine alle sofferenze di Lazlo. In effetti, quella di biologo era una copertura: il russo era venuto per cercare il diario di Rasputin, di cui si erano perse le tracce proprio in quella zona. Grati per averci salvato, gli consegnammo il prezioso documento, ma non prima di averne copiato le pagine leggibili.

Il nostro amico ci rivelò anche che il Barone Haupman era fuggito a cavallo di qualcosa di invisibile (forse il vampiro che aveva attaccato il figlio della zingara?): era tardi per cercarlo ancora, evidentemente aveva deciso di sacrificare i suoi servi per liberare l'Antico.

Decidemmo, comunque, di perquisire il Castello, e in effetti alcune stanze si rivelarono assai interessanti. Trovammo:

- una cripta di famiglia, le cui tombe erano tutte vuote, salvo una che conteneva un cadavere recentissimo;

- una sala di tortura;

- un laboratorio chimico, dal quale asportammo un paio di fiale di una strana droga gialla;

- una donna torturata a morte nella camera da letto del Barone;

- i diari dei vari Baroni Haupman, dal trecento ad oggi. Tutti redatti nell'identica calligrafia (sebbene i ritratti degli avi effigiassero individui diversi).

Ma le maggiori sorprese ci attendevano nella torre, che era adibita ad osservatorio astronomico, con uno straordinario telescopio. Un diario conteneva annotazioni: da secoli (secoli!) i Baroni seguivano i movimenti della Stella …, che ben mi ricordo essere uno dei luoghi di incarnazione di Chtulhu. Cosa si aspettava da essa?

E forse poteva addirittura recarvisi?

Da alcuni appunti nascosti nel luogo, risultava che la droga gialla (di cui trovammo altre fiale sigillate) era un composto ipnotico necessario a viaggi magici da compiere tramite il teletrasporto. E di certo il Barone era un grande mago: tra i suoi effetti, c'era la pergamena per evocare Nyogtha, l'Antico che ribolliva nel pozzo dei sotterranei, e anche uno dei più preziosi libri di Occulto, ossia il De Vermiis Mysterii.

Avevamo preso il castello, ma la nostra caccia era appena iniziata.

giovedì 10 marzo 2011

Il barone Hauptmann


Quando lo storico della compagnia è assente, quale miglior sostituto del suo collega journaliste, n'est-ce pas? Dev'esser quel che hanno pensato i mei amici, quando hanno deciso di appiopparmi il compito (l'onore, a sentir loro) di raccontare le ultime vicende del nostro entourage. Come se già non avessi altro da scrivere per il mio lavoro! (ma smettila, ndr)
Dove si era interrotto quell'italiano stralunato...? Ah oui, je me souviens! Il prete ci ha condotto nella cripta, dove abbiamo passato ore tra volumi polverosi e antiche pergamene, à la recherche di informazioni preziose. Tra le altre cose, abbiamo scoperto di una passata spedizione di popolani all'interno del castello del barone Hauptmann, a cui partecipò anche il prete di allora: in una pergamena, il sacerdote racconta che proprio in quell'occasione venne in contatto con un'entità oscura, che non è di questo mondo. Plus tard siamo tornati a riveder la luce ed essendo ora di pranzo siamo tornati alla locanda, dove abbiamo pranzato con lo studioso ungherese di cui ci aveva parlato monsieur Drobne: un personaggio très intéressant, che guardava Dimitri come se già lo conoscesse... Congedatici dal giovane biologo, ci siamo diretti al campo degli zingari dove un'anziana signora si è offerta di leggerci le carte. Le ha lette a tutti, tranne che a Sakasà... bah, chissà se è vero quel che mi ha rivelato su di lui. Ad ogni modo, le carte non indicavano nulla di buono e poco dopo il figlio della zingara è stato aggredito da un monstre invisible, che si è rivelato solo dopo che l'abbiamo riempito de plomb... anche se effectivement non mi è sembrato molto danneggiato. Al contrario, il figlio della zingara era moribondo, ma il nostro medico lo ha prontamente soccorso, dopo averlo adagiato sulla vasca da bagno portatile di Sakasà... Che cosa mi tocca scrivere! Siamo quindi tornati alla locanda, dove mi sono riposato insieme agli altri, dopo aver controllato che non ci fossero malefiche creature ad otto zampe appostate nei paraggi. Proprio quando ero nella fase di più profonda concetrazione (zzz), Gutierrez ha deciso di avvistare una luce sospetta proveniente dal castello: merde! Dopo esserci consultati con tempestività (si fa per dire), ci siamo fiondati dal prete per informarlo, ma lui non ha voluto essere coinvolto, quel codardo! Allora abbiamo deciso di introdurci nella camera dello studioso, dove abbiamo trovato armi da fuoco e munizioni. Dalla finestra spalancata filtrava la luce lattea della luna piena... Ci siamo allora diretti verso il castello, abbiamo perlustrato il bosco ad esso antistante e abbiamo infine scoperto un passaggio nascosto, che immaginiamo conduca al castello. Mi rammarico di non essere stato troppo preciso nel rapporto, sono sicuro di aver omesso qualche dettaglio importante. Solitamente la mia precisione è proverbiale, ma purtroppo in questo momento non trovo il mio prezioso taccuino degli appunti... sarà certainement uno scherzo di quel burlone di Dimitri!

di Gustav Pegeut

giovedì 3 marzo 2011

Viaggio in Romania

Secondo la leggenda, Achille passò mesi vestito da donna e nascosto presso il Re Licomede, ma in realtà curava nel cuore la furia e la grandezza della Guerra di Troia.

Anche noi per un paio di settimane, siamo rimasti a New York in un regime di calma apparente, ma in realtà stavamo già preparando la prossima azione. Del resto, è evidente che quel che ci manca è un Omero: il massimo che abbiamo ottenuto sino ad ora è stato qualche trafiletto sul Boston Globe a proposito di “soliti ignoti” che hanno profanato una tomba, e di altri sconosciuti che hanno massacrato una vecchina. Tuttavia, meglio rimanere ignoti piuttosto che essere cantati (in cella) per simili gloriose imprese.

Ad ogni modo, abbiamo studiato per bene la situazione del barone Hauptman. Avremmo voluto conoscere qualcosa anche sulla Confraternita della Bestia, ma nonostante io sia uno dei migliori bibliofili della East Coast, non trovammo praticamente nulla, salvo la notizia (invero non recentissima) di un teutonico che era stato espulso dall'ordine perché accusato di aver preso parte a questa confraternita, nel 1200. Da allora, più nulla.

Ma quell'episodio si riferiva proprio al paese nel quale stavamo per recarci: la piccola città di Drovosna (vicino Klausenburg, odierna Cluj), un paese di duemila anime sul quale troneggiano i ruderi dell'antico maniero degli Hauptman. Antico davvero: costoro ebbero il potere sulla zona sin dalla notte dei tempi, e resistettero perfino ai Mongoli ed ai Turchi.

Ottenuto un visto per motivi di caccia (in fondo, era vero...), siamo partiti per la Romania, con un lungo viaggio in nave durante il quale Sakasà ha provato un po' a psicanalizzarci affinché ci riprendessimo da tutto quanto di sconvolgente avevamo visto nei giorni precedenti, dal ragno che usciva dagli occhiali sino all'orribile vecchina in camicia da notte.

Appena giunti in loco, ci siamo resi operativi indirizzandoci all'unica locanda del paese, la tana dell'oste Drobne, un gioviale poliglotta con la convinzione che agli inglesi o affini (ossia chiunque intenda l'inglese) faccia piacere essere insultati. O, più probabilmente, qualche burlone gli ha spiegato che “vecchio bastardo” è un complimento, mentre quanto di più carino si può dire della propria moglie e della propria figlia è che sono “le migliori troie del paese”. Ad ogni modo, nonostante questa dichiarazione, le due donne non si sono viste.

In compenso, Drobne ci ha fornito molte informazioni interessanti, a parte una pausa di timoroso silenzio all'ingresso di un uomo deciso seguito da quattro scagnozzi: come ci è stato spiegato, si trattava di Lazlo, l'uomo d'azione del barone Haupman, l'unico ad essere al suo fianco da quando questi è tornato ad abitare il maniero dei suoi avi, quarant'anni fa.

Abbiamo anche saputo che in una stanza della locanda risiede da alcuni un giovane ricercatore, ma non siamo riusciti a vederlo: torna solo verso sera.

Così, abbiamo deciso di passare in visita alla Chiesa locale, un po' per prepararci l'anima ad una probabile dipartita in caso di vista da Hauptman, in parte per raccogliere informazioni. Fortunatamente il prete era un uomo assolutamente affabile, con due complimenti sulla qualità artistica della sua Chiesa, ci ha fatto entrare, e non appena abbiamo rivelato di essere interessati al folklore locale (assai credibile da quando Bram Stoker ha ambientato da quelle parti il suo romanzo), ha cominciato a raccontarci del vampiro locale.

Periodicamente, infatti, nella zona si trovano morti inspiegabili, dissanguati. A fine Ottocento ci fu una vera strage, ma gli assassini non sono mai finiti, gli ultimi erano vecchi di un paio d'anni appena. Del resto, almeno una volta il presunto vampiro aveva reso un servizio alla comunità: quando i Turchi assediavano il castello e gli Hauptman resistevano, un mattino i capi dell'esercito ottomano furono trovati dilaniati, e gli invasori decisero di abbandonare la zona per virare verso la Valacchia.

Ora, era un caso che la belva avesse fatto un favore agli Hauptman, o c'era una connessione?

mercoledì 2 marzo 2011

La cosa nel pozzo

Fatta giustizia dell'anziana signora che nel pomeriggio ci aveva cacciato in modo maleducato da casa sua, tutta la villa era a nostra disposizione, né ci mancava il tempo per visitarla. Le maggiori sorprese, tuttavia, si nascondevano nei luoghi ai quali non avremmo avuto accesso nemmeno con la più affabile delle padrone di casa: la soffitta e la cantina.

Visitammo per prima la soffitta, polverosa e disordinata. La defunta vecchina era stata una pessima massaia.

Ma come ben sanno gli antiquari, è nelle soffitte più polverose che si annidano i maggiori tesori, e questa non faceva eccezione. In più, non dovevamo neppure pagare. Dopo alcune ricerche, trovammo un vecchio baule, che conteneva gli effetti personali del defunto sig. Corwallis: un paio di occhiali, vecchi libri, un paio di lettere assai interessanti. Dopo aver assassinato la sorella, non ci saremmo certo imbarazzati nel leggere la sua corrispondenza: benché sia un atto poco signorile, spesso si rivela utile per le indagini. Questo caso non fu da meno: le lettere venivano dalla Transilvania, ed erano scritte dal Maestro della Confraternita della Bestia, il barone Hauptman : egli era venuto a Boston trent'anni prima, perché vi era nato Il Figlio (di chi non era dato sapere), una nascita rara e attesa dalla confraternita per motivi a noi ignoti. In seguito era venuto negli Stati Uniti, dove aveva donato a Cornwallis un paio di occhiali magici da lui stesso costruiti (gli stessi che avevamo appena rubato), e se ne era andato con un certo maestro Edward . Di certo, Il Figlio non era il figlio di Cornwallis, le date non combaciavano: in compenso, scoprimmo che aveva tentato di farlo vivere in una vasca della cantina.

Peugeot ebbe l'illuminazione: “E ora vive nel pozzo!”.

Non doveva essere un bambino normale.

In cantina, difatti, trovammo molto ciarpame inutile e la vasca, sporca e incrostata di alghe. Era tempo di affrontare l'ex bambino: ora che nessuno l'avrebbe più nutrito con polli andati a male, sarebbe uscito più spesso in cerca di prede umane.

Eravamo incerti su come agire: l'ideale sarebbe stato muoversi in silenzio in modo di non attrarre su di noi tutta la polizia dello Stato, e per questo scartammo quasi subito l'idea di Dimitri (riempire il pozzo di candelotti di dinamite accesi).

Bisognava agire d'astuzia.

Decidemmo di provocare il mostro, e poi colpirlo con le armi bianche: a tale scopo, trascinammo il cadavere di sua zia in cortile e lo gettammo nel pozzo. Dopo alcuni istanti di silenzio, udimmo una sorta di lamentio. Poi nulla.

Improvvisamente, fui io a sentire qualcosa: un tentacolo mi si avvinghiava alla gamba. Sguainai la sciabola e lo recisi di netto. Solo allora vidi l'orrore che usciva dal pozzo: una specie di ibrido fra un cervello e una medusa.

Disgraziatamente, Peugeot non aveva sentito la parte del piano sul fare silenzio e usare l'arma bianca, oppure preferì rimanere lontano, fatto sta che sparò una fucilata contro l'essere. Non lo infastidì nemmeno. Dimitri, invece, assestò un gran colpo d'ascia, e la bestia lasciò questa valle di lacrime.

Ci allontanammo in camion ostentando tranquillità, mentre sul posto accorreva la polizia.

Il giorno dopo, eravamo a New York, nella nostra Università, nel nostro laboratorio, con gli occhiali di Cornwallis. Von Castellan ci aveva già raccomandato di partire per la Transilvania, ma noi, prima, volevamo sapere qualcosa in più su questo oggetto ottico. Dimitri scelse la via diretta: li indossò, e un attimo dopo una zampa di un enorme ragno lo sfiorò.

Da allora, ogni volta che Peugeot vede un ragnetto, anche piccolo, comincia a tremare.

Yog-Sothoth


Yog-Sothoth (Il Guardiano della Soglia, La Chiave e la Porta, La Guida, Il Tutto-in-Uno e L'Uno-in-Tutto, L'Altrove).

« L'immaginazione richiamava la sconvolgente forma dell'eccelso Yog-Sothoth — solo un cumulo di sfere iridescenti, tuttavia stupenda nella sua maligna allusività. »

(H.P.Lovercraft, L'orrore nel museo)

Yog-Sothoth è uno degli Dei Esterni, e, nonostante sia considerato contiguo ad ogni tempo e ad ogni spazio, è tuttavia esiliato dall'universo in cui abitiamo. La sua natura cosmica è suggerita da questo passaggio del racconto "Attraverso le porte della chiave d'argento" (1934) di Lovecraft ed E. Hoffmann Price:


« Era un Tutto-in-Uno e un Uno-in-Tutto di illimitato essere e sé — non solamente un essere di uno Spazio-Tempo, ma connesso all'essenza ultima ed animante dell'intera ed illimitata curva dell'esistenza — la curva finale e completa che non ha confini e che si estende allo stesso modo verso sognatori e matematici. Era forse quello che certi culti segreti della terra avevano sussurrato come YOG-SOTHOTH, e che era stata una divinità sotto altri nomi; ciò che i crostacei di Yuggoth adorano come l'Altrove, e che i cervelli eterei delle galassie a spirale conoscono attraverso un Simbolo intraducibile... »

Il saggio In Rerum Supernatura nel gioco di ruolo "Il richiamo di Cthulhu" teorizza che il nome Yog-Sothoth possa essere una grezza traduzione della frase araba "Yaji Ash-Shuthath", che significa "Non c'è pace alle porte".

Viene definito come l'unico essere più forte dell'onnipotente Azathoth e più saggio dell'onnisciente Yibb-Tstll di Brian Lumley.